Socrate

Socrate non scrisse nulla, non lasciò testimonianza di sé, perché preferiva il contatto diretto e immediato con le persone, attraverso la parola; ma per fortuna abbiamo testimonianze indirette su di lui che sono giunte in particolare da Platone, suo discepolo.
Finito il governo di Pericle, Atene fu governata da 30 tiranni, e una volta caduti anche questi si restaurò la democrazia. Socrate operò proprio nel periodo di restauro della democrazia, in cui quest’ultima era molto debole, incerta, precaria, e fu condannato a morte quindi in un periodo in cui il potere avvertiva una grave minaccia nelle critiche di un personaggio come lui. Fu accusato si non onorare le gli dei della sua città, di aver importato nuove divinità e di corrompere i giovani. Tali accuse erano quanto meno strane e celavano la forte preoccupazione del nuovo governo per un personaggio che mettendo in dubbio ogni certezza poteva minare la basi di un sistema già in bilico. 
Tuttavia se egli avesse accettato di esiliarsi spontaneamente, o fosse stato meno deciso nel ribadire le sue idee, di sicuro non sarebbe stato condannato. E’ come se avesse accettato volentieri di bere quel veleno, pur di affermare la sua posizione.



Socrate era ritenuto il più saggio tra i filosofi perché lui “sapeva di non sapere”, mentre gli altri mancavano di tale consapevolezza. E pur conoscendo magari solo qualcosa di peculiare della arte, erano convinti di sapere tutto e poter insegnarlo ali altri.
Egli metteva in crisi il suo interlocutore insidiando dentro di lui il dubbio; non formulò concetti universali, né cercò di dare una corretta definizione di “bene”, “male” o delle “virtù”; piuttosto dimostrò che quelli che si reputavano sapienti, in realtà non erano. 
Per fare ciò adottava un metodo diviso in due momenti:

•    Ironia: consisteva nel demolire le tesi avversarie basandosi sulla “finzione”. Metteva in ridicolo le posizioni contrarie dopo aver finto di accettarle come giuste. Conversando con un interlocutore poneva delle domande incalzanti che alla fine provocavano risposte contraddittorie tra loro, fino a che l’interlocutore ammetteva di non sapere nulla a riguardo.
•    Maieutica: consisteva nel far risvegliare nell’interlocutore il gusto della verità, che a suo avviso si trovava nell’anima delle persone; è dunque quell’arte che attraverso il dialogo fatto di domande e risposte, doveva aiutare le persone a trovare e far emergere le idee giuste di cui la sua anima è gravida.



Socrate si paragonava a una levatrice, come sua madre, che ormai troppo anziana per partorire aiutava le altre donne a farlo. Così lui, sapendo di non sapere, non proponeva nuove conoscenze, ma metteva alla prova i giovani in modo da capire se le loro intelligenze  erano “gravide” di pensieri giusti e degni d’essere sostenuti.

Socrate afferma che chi conosce il bene non può commettere il male, ritenendo che la virtù morale derivi dalla retta conoscenza del bene. Un’azione giusta è frutto di giusta conoscenza, un’azione immorale scaturisce da errori e ignoranza. Riteneva che chi si rendeva conto razionalmente del male, non poteva seguirlo, e chi compie un’azione ingiusta lo fa perché non ha realmente compreso cosa sta facendo. Secondo lui non si deve agire in modo acritico e superficiale, o seguendo la massa e le mode, ma è necessario comportarsi sempre in modo consapevole.

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